Il benessere dei dipendenti sta assumendo un ruolo sempre più centrale anche nelle piccole e medie imprese italiane, realtà che rappresentano oltre il 99% del tessuto produttivo nazionale secondo i dati Istat. Sebbene spesso escluse dai riflettori delle indagini internazionali riservate ai colossi industriali, le PMI stanno maturando una crescente consapevolezza: il benessere organizzativo non è un costo, ma un fattore abilitante della competitività.
Un recente studio globale condotto da Wellhub, che ha coinvolto 1.500 dirigenti d’azienda in dieci Paesi, ha evidenziato come il 76% dei CEO dichiari un ritorno positivo dagli investimenti in iniziative per la salute e il benessere dei dipendenti. In Italia, il 54% dei leader aziendali riconosce il benessere come leva strategica, e il 47% lo considera importante quanto la retribuzione.
Sebbene il report riguardi soprattutto le grandi aziende, i dati possono offrire spunti preziosi anche alle PMI, che operano in contesti più dinamici ma con meno risorse. A differenza delle imprese strutturate, dove i programmi di wellbeing sono supportati da interi team HR, le PMI devono muoversi con approcci più agili e mirati.
PMI vs grandi imprese: quali differenze?
Le grandi aziende possono contare su economie di scala, budget consistenti e strumenti digitali avanzati per pianificare e misurare i programmi di benessere. Nelle PMI, invece, la flessibilità organizzativa, il contatto diretto tra imprenditore e dipendenti e la minore complessità interna rappresentano vantaggi da valorizzare.
Secondo l’Osservatorio Welfare PMI 2023 promosso da Edenred e AIDP, l’80% delle PMI italiane ha attivato almeno una misura di welfare aziendale, ma solo il 35% lo ha integrato in una strategia continuativa. Questo evidenzia un potenziale ancora poco sfruttato. Tuttavia, le imprese che hanno investito in benessere strutturato hanno registrato un miglioramento nella motivazione interna (63%) e una riduzione dell’assenteismo fino al 25%.
ROI e ostacoli percepiti
Uno dei principali nodi per le PMI è la misurazione del ritorno sull’investimento (ROI). Se il 76% dei CEO a livello globale dichiara di percepire benefici tangibili, nelle PMI italiane il ROI è spesso intuito ma poco monitorato con strumenti analitici. Questo può frenare la continuità dei progetti e limitarne l’impatto nel lungo termine.
L’altra barriera è il coinvolgimento attivo dei dipendenti. Secondo Wellhub, solo il 30% dei dirigenti segnala una partecipazione elevata alle attività di benessere, considerandola più critica del budget. In contesti più ristretti come quelli delle PMI, questa criticità può essere affrontata attraverso un dialogo diretto, modelli personalizzati e un’attenta fase di ascolto dei bisogni reali del personale.
Flessibilità, smart working e benessere: il triangolo vincente
L’esperienza della pandemia ha accelerato anche nelle PMI la sperimentazione di modelli di lavoro più flessibili, come il part-time volontario, lo smart working e la settimana corta. Questi approcci, oltre ad aumentare la soddisfazione, hanno dimostrato di incidere positivamente sul clima aziendale e sul contenimento del turnover.
Secondo un’indagine del Politecnico di Milano (Osservatorio HR Innovation Practice, 2024), nelle PMI che adottano modelli di lavoro flessibili, la produttività cresce in media del 9%, con picchi fino al 15% in settori ad alta intensità di lavoro intellettuale.
Un nuovo paradigma per il benessere nelle PMI
Le Piccole e Medie Imprese italiane si trovano oggi davanti a una sfida: trasformare la cultura del benessere in un asset distintivo, integrandola nelle proprie politiche gestionali anche senza dover replicare le formule delle multinazionali.
Le buone pratiche includono:
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Programmi modulari di welfare, facilmente adattabili in base al numero di dipendenti;
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Percorsi di supporto psicologico accessibili anche in modalità online;
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Iniziative di educazione finanziaria, oggi sempre più apprezzate dai lavoratori;
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Partnership con realtà locali, come palestre, centri medici o associazioni culturali.
Il benessere dei dipendenti non è un lusso per grandi aziende: anche le PMI, con risorse più limitate, possono generare impatti concreti se scelgono strumenti coerenti con le proprie dimensioni e identità. Serve un cambio di mentalità: da “spesa discrezionale” a investimento strategico a lungo termine. E i dati, finalmente, iniziano a confermarlo.