La nuova Direttiva UE 2023/970 sulla trasparenza retributiva è una delle riforme più importanti degli ultimi anni in tema di lavoro. L’Italia dovrà recepirla entro giugno 2026 e, anche se sembra lontana, i tempi sono stretti.

Il punto critico? Mentre le grandi imprese e le multinazionali hanno già iniziato a muoversi, la maggior parte delle PMI italiane non è ancora pronta. Il rischio è quello di affrontare l’adeguamento all’ultimo momento, con un approccio puramente burocratico. Ma questo sarebbe un errore: la Direttiva non è solo un obbligo, ma una vera opportunità per rafforzare la cultura aziendale e diventare più attrattivi sul mercato del lavoro.

Perché nasce la Direttiva

La normativa nasce per rendere concreta la parità retributiva tra uomini e donne. Non basta più una “parità formale”: l’obiettivo è arrivare a una parità sostanziale, basata su trasparenza, dati verificabili e correzioni quando si riscontrano squilibri.

Questa spinta arriva da:

  • una maggiore attenzione delle nuove generazioni al tema dell’equità;
  • la disponibilità crescente di dati retributivi online (Glassdoor, PayScale);
  • l’interesse degli investitori per la sostenibilità sociale (CSRD);
  • una cultura aziendale più attenta a diversità, equità e inclusione.

Cosa cambia concretamente

Ecco in sintesi gli obblighi introdotti:

In fase di assunzione

  • l’azienda deve comunicare la retribuzione o la fascia retributiva offerta,
  • gli annunci di lavoro devono essere neutrali rispetto al genere,
  • non si possono chiedere informazioni sulle retribuzioni pregresse.

Durante il rapporto di lavoro

  • i lavoratori avranno diritto ad accedere ai criteri retributivi e di progressione;
  • potranno ricevere informazioni scritte sul proprio livello retributivo e sulle medie salariali per genere e categoria;
  • avranno la piena libertà di condividere informazioni retributive con i colleghi.

Obblighi di rendicontazione

  • dal 2027: report annuali per aziende con oltre 250 dipendenti,
  • dal 2027: ogni 3 anni per quelle con 150-249 dipendenti,
  • dal 2031: ogni 3 anni per quelle con 100-149 dipendenti,
  • facoltativo per chi ha meno di 100 dipendenti.

In caso di squilibri

Se emerge un gap superiore al 5% non giustificato e non corretto entro 6 mesi, l’azienda dovrà:

  • avviare una valutazione congiunta con i rappresentanti dei lavoratori,
  • analizzare le cause,
  • definire un piano d’azione correttivo.

Le sanzioni possono essere pesanti: risarcimenti, provvedimenti inibitori e obbligo di fornire prove sulle azioni intraprese.

L’impatto sulle PMI

La Direttiva coinvolge praticamente tutte le funzioni aziendali:

  • HR: revisione dell’architettura del lavoro, criteri di valutazione e sistemi premianti;
  • Legal: documentazione, risposte a richieste e gestione dei contenziosi;
  • Comunicazione interna: nuovo approccio al tema retribuzione;
  • Relazioni sindacali: maggiore coinvolgimento nei processi correttivi;
  • IT: gestione dei dati e produzione dei report.

Per le PMI, meno strutturate delle grandi imprese, questo può significare più complessità e più burocrazia. Ma se affrontata nel modo giusto, la Direttiva può portare benefici concreti:

  • maggiore attrattività sul mercato del lavoro,
  • più fiducia da parte dei dipendenti,
  • riduzione dei rischi legali e reputazionali,
  • sistemi interni più meritocratici e trasparenti.

Il rischio del “minimo sindacale”

Molte aziende potrebbero cadere nella trappola del “conformismo difensivo”: limitarsi agli adempimenti formali senza introdurre cambiamenti reali. Questo però genera sfiducia nei collaboratori e aumenta i rischi di contenziosi.

Per le PMI è importante non solo “mettersi in regola”, ma cogliere l’occasione per rafforzare il proprio modello organizzativo.

Come prepararsi (senza farsi travolgere)

Per rendere davvero sostenibile l’attuazione della Direttiva, servono strumenti chiari e proporzionati. Alcune soluzioni utili per le PMI potrebbero essere:

  • modelli standard di raccolta dati e report semplificati;
  • una piattaforma pubblica digitale per trasmettere i report;
  • incentivi fiscali o contributivi per chi adotta politiche virtuose;
  • premialità nelle gare pubbliche per le aziende più virtuose;
  • formazione dedicata a HR, manager e rappresentanti sindacali;
  • un approccio graduale, che differenzi gli obblighi in base alla dimensione aziendale.

La Direttiva sulla trasparenza retributiva non è solo un adempimento, ma una leva strategica per diventare aziende più solide, attrattive e competitive.

Il tempo stringe: il momento giusto per iniziare è adesso.

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