Si ironizza, ma a chi non è mai capitato, dopo una giornata estenuante, tra appuntamenti e scadenze, di attardarsi comunque in ufficio e – soprattutto – portarsi il lavoro a casa, rinunciando a quel pizzico di socialità e relax, come una pizza tra amici, un salto in palestra o un bel film su Netflix. Le conseguenze dell’overworking e di una scorretta capacità di disconnessione sono facilmente immaginabili: senso di frustrazione, nervosismi, corpi che si trascinano come zombie e occhiaie da panda il mattino seguente.

La domanda sorge spontanea: si vive per lavorare o si lavora per vivere?

Secondo i dati elaborati dall’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), in Italia lavoriamo circa 1669 ore all’anno, rispetto a una media europea di 1566, tre ore in più rispetto alla media di 30 ore, e addirittura 7 ore in più rispetto alla Germania. La filosofia “Work smarter, not harder”, non sembra quindi trovare grande applicazione nel nostro Paese, che emerge invece come uno dei paesi più stakanovisti in Europa. Non a caso, in alcuni contesti, chi lavora meno o “timbra il cartellino in uscita” in orario, viene visto male da colleghi e manager, lavorare il giusto a volte viene interpretato come un sinonimo di pigrizia, di mancanza di interesse e passione per il proprio lavoro. Se l’Italia è nelle prime posizioni per numero di ore lavorate si trova, invece, agli ultimi posti per livelli di produttività e la tendenza tipicamente italiana di restare in ufficio più a lungo del previsto pare non venga apprezzata negli altri Paesi Europei, che la interpreterebbero come un segnale di inefficienza ed incapacità nel gestire il proprio tempo.

L’uso del tempo: schemi a orari flessibili

Sebbene siamo ben lontani dalla logica del Work Life Balance danese, considerato il Paese più felice al mondo e dove vige una legislazione che promuove l’equilibrio vita-lavoro, con misure ad hoc per ridurre lo stress e aumentare il benessere, negli ultimi anni, anche in Italia si sta affrontando con una maggiore sensibilità il tema della gestione dei tempi di vita e lavoro, come ad una risorsa per aumentare la produttività aziendale. Si è incominciato a parlare infatti di schema a orari flessibili, nulla a dirsi che intorno agli orari di lavoro si consolidino e ruotino le abitudini della nostra quotidianità, ma la crisi pandemica ha portato ad una frattura nel sistema degli orari, mettendo in discussione fortemente la relazione tra tempo e luogo di lavoro ed accelerando il processo di de-standarizzazione e di digitalizzazione del lavoro.

Il processo è comunque lento e non si traduce in una vera e propria distruzione degli schemi di orario di lavoro, non apporterà ad una rivoluzione radicale e potrà realizzarsi soprattutto nelle aree collaterali e in alcuni punti che possono costituire degli snodi critici, apportando piccoli aggiustamenti che possono dare risultati positivi per l’azienda e i lavoratori.

Il concetto chiave è flessibilità, permessa in primis dal senso di fiducia che imprenditori e manager hanno nei confronti dei propri dipendenti e collaboratori. L’importante non è, infatti, quando viene svolta una determinata attività né come: l’importante è che vengano raggiunti gli obiettivi prefissati, in maniera efficiente. Si parla così di flexible work arrangements, soluzioni adattabili che si possono classificare in 3 macrotipi:

  • Flessibilità nella pianificazione degli orari di lavoro (ad esempio in ingresso, in uscita, lavoro condiviso)
  • Flessibilità nella scelta del luogo di lavoro (smart working e lavoro da casa)
  • Flessibilità nella lunghezza degli orari di lavoro (ad esempio giornate più intense di lavoro alternate a giornate di non lavoro o contratti orari annuali di lavoro)

Riassumendo, l’adozione degli schemi a orari flessibili risulta virtuosa quando punta a soluzioni organizzative, dando risposta ai diversi bisogni dei lavoratori e dell’azienda e a soluzioni adattabili nel tempo e alle continue variazioni delle esigenze delle persone e dell’azienda.

Benessere organizzativo: perché è così importante?

Aver cura dei dipendenti, delle persone che letteralmente fanno un’azienda, è cruciale per favorirne la crescita, il benessere dell’organizzazione svolge infatti un ruolo decisivo nei processi di business e aiuta a creare un contesto lavorativo sereno e funzionale, mettendo ciascuno nelle condizioni migliori per esprimere il proprio potenziale e operare al massimo.

La capacità di ritagliarsi degli spazi e fuggire dallo stress del lavoro aiuta non solo ad evitare i rischi provocati dal burn-out, dai disturbi del sonno all’ipertensione, fino alla depressione, ma anche a sentirsi più soddisfatti del proprio ruolo in azienda e, in senso più ampio, anche nella propria vita fuori dall’ufficio e ciò non può che rendere i dipendenti più attivi, motivati e concentrati.

In un mondo sempre più incentrato sulla produttività, sui numeri ed i risultati, l’invito è insomma quello di spezzare il costante automatismo del “se vuoi essere felice, devi consumare di più, per farlo devi guadagnare e quindi lavorare di più”, ma a fermarsi un attimo, dare importanza a sé stessi e perché no, concedersi e coltivare il proprio tempo libero.

 Api Servizi alle Imprese promuove questa filosofia, stando al fianco degli imprenditori con iniziative e servizi che – in maniera mirata – favoriscono il benessere organizzativo e personale all’interno delle aziende.

A cura di Laura Crespi, HR & Recruiter Specialist e Dott.ssa in Scienze Cognitive e Processi Decisionali

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